Heysel - il giorno della vergogna
Il 29 maggio 1985, si consumava durante Juventus vs Liverpool, una delle più grandi tragedia sportive di sempre
Furono momenti angosciosi, in cui fui costretto a prendere decisioni dolorose. Ricordo un paio di ragazzi, che erano riusciti a raggiungere la mia postazione.
Mi chiesero di dire alle loro mamme che erano vivi. Io risposi che non potevo accontentarli, per non far preoccupare le mamme e i parenti degli altri ragazzi presenti allo stadio, anche se mi rendevo conto che ai loro occhi avrei potuto fare la figura di uno senza cuore.
E invece, con mia soddisfazione, qualche tempo dopo mi chiamarono per dirmi che avevano capito le ragioni della mia decisione. In casi del genere ti trovi ad affrontare dilemmi tremendi, perché la realtà da raccontare è assolutamente fuori dai normali parametri della cronaca"
Bruno Pizzul
A rivedere le immagini di quella serata, di quella tragedia, vengono ancora i brividi. In alcuni momenti, pare di avere di fronte un quadro di Francisco Goya, di quelli con cui il grande pittore ci parlava dei massacri nella terra di Spagna, da parte delle truppe del "piccolo Caporale"
29 maggio 1985. Stadio Heysel, Bruxelles, Finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool. Era la finale, la partita più attesa dell’anno tra due diverse scuole di pensiero calcistiche, tra il calcio champagne sabaudo e gli ultimi assaggi di quel pass and play firmato reds, di quella squadra che proponeva una decisa rivoluzione del vecchio e stantio modo di giocare a pallone nell’isola di sua maestà.
Doveva essere una giornata di festa calcistica invece fu una serata da incubo, u la tragedia più assurda e incomprensibile.
39 morti. Il calcio europeo macchiato da qualcosa che non potrà mai essere dimenticato: il massacro dell'Heysel.
E dire che i segnali c'erano tutti, anzi, solo poche settimane prima, vi era stata un’altra strage tremenda, quella al Valley Parade di Bradford, tra Bradford City e Lincoln City.
Lì era stato un incendio, ma gran parte delle 56 vittime, erano morte per la disorganizzazione delle operazioni di svuotamento delle tribune, la scarsa capacità di coordinazione delle forze dell’ordine e soccorsi.
Pure lì, si trattava di uno stadio vecchissimo e vetusto, assolutamente inadatto alle necessità, senza uscite di sicurezza, estintori e altri materiali antincendio erano stati tolti per paura che fossero usati da loro, dagli hooligans. Con loro non si agiva con severità, si lasciava che si sfogassero e fine.
Anche in questo atteggiamento lassista, nacque la strage belga. E dire che il tempo per evitare ogni tipo di problema c'era, così come c'era la possibilità di sistemare i tifosi in modo diverso, di verificare le misure di sicurezza, evitare che gli hooligans del Liverpool potessero avere la libertà di azione che poi ebbero.
All’epoca, bene o male il Regno Unito era scosso da profonde divisioni sociali e culturali, soprattutto politiche. Vi era un salire e scendere di governi e segretari, la legalità era lasciata ai margini da una politica ormai in piena rivoluzione o meglio involuzione.
Lord James Harold Wilson e il governo labour negli anni 70 non avevano fatto molto contro le frange più violente del tifo, per paura di perdere voti della working class, la stessa che si trovava sempre più sofferente per la crisi economica, che si sfogava allo stadio.
Le politiche economiche e sociali assassine di Margaret Thatcher e del nuovo corso conservatore, avevano accresciuto a dismisura il problema, visto che dove vi era povertà, disperazione, disagio sociale, il tifo diventava una valvola di sfogo.
Sostanzialmente vi era un mix tra paternalismo e sottovalutazione, l’incapacità di comprendere quanto profondamente fosse cambiata la società inglese, contagiata dalla rabbia proletaria, dalla distruzione delle periferie, del welfare, dal fatto che per i giovani inglesi, non vi fosse nulla se non la perdita di posti di lavoro e certezze.
Quella sera nulla fu fatto per prevenire l’inevitabile, soprattutto dalle autorità belghe. Non solo, ma a separare ampie parti della tifoseria juventina dalle squadracce del Liverpool e soprattutto dai “cacciatori di teste” del Chelsea c'erano solo due bassi reti metalliche. Le forze dell'ordine erano quasi assenti, poco coordinate, equipaggiate. Il Belgio di quegli anni, era (come oggi in realtà) un'enorme ferraglia burocratica, con una polizia tanto violenta quanto stupida, una leadership costituita da gente inqualificabile.
Non fecero nulla contro i tifosi inglesi. Neppure quando dalle 19.20 questi cominciarono a caricare i supporters juventini (semplici tifosi, non i gruppi organizzati), cercando lo scontro, la guerra.
A vedere ancora oggi i volti delle vittime, si capisce che fu come mandare dei lupi contro degli agnelli: erano padri, mariti, figli, persone qualunque, studenti, lavoratori, tifosi da settore neutro: non frange estremiste.
I poliziotti belgi non solo non fecero niente, ma infierirono su quei tifosi juventini che cercavano di scappare, ammassandosi sul muro opposto, schiacciandosi a vicenda, lanciandosi nel vuoto, uccidendosi addosso alle recinzioni, fino a quando il muro crollò.
Il panico fece sì che la massa impaurita cercasse la via di fuga camminando sopra i corpi di chi gli stava di fronte. “Fu” ricorda ancora oggi un sopravvissuto “come quei documentari sugli animali in Africa, che cercando si salvarsi dai coccodrilli, e si uccidono a vicenda. La stessa cosa”.
Cercando di scappare verso il campo da gioco si ferirono ed uccisero con ancor maggior veemenza. Il tutto avvenne in uno stadio vecchio, fatto male, senza misure di sicurezza alla norma, senza nulla, dove ci si preoccupò più di arginare la tifoseria juventina (posta all’altra estremità dello stadio) che di prevenire quella inglese, notoriamente molto più agguerrita e incattivita.
I tifosi bianconeri organizzati, impazzirono comprensibilmente per ciò che si intuiva, invasero altre zone del campo, la polizia belga infine ebbe dei rinforzi, che semplicemente non fecero altro che osservare.
Pizzul e gli altri giornalisti furono subissati di richieste da parte dei sopravvissuti, volevano far sapere alle famiglie che erano vivi, mentre i giocatori attoniti cercavano con appelli di riportare la calma che naturalmente caddero nel vuoto.
Le televisioni mandarono in giro per tutto il mondo le immagini di un massacro, degli uomini in divisa che si guardavano attorno senza ordini, senza idee, senza alcuna struttura gerarchica efficiente. Poi alla fine qualcuno ordinò qualcosa, di base di arginare gli inferociti tifosi juventini, che si aggiravano per lo stadio in cerca di vendetta. Per la UEFA e per il governo belga era un disastro, si pensò di cercare di guadagnare tempo chiedendo alle squadre di giocare comunque la finale. Erano le 21 e 40, pur consce che vi erano numerose vittime, le squadre ripresero a giocare quella finale. Ancora oggi per molti è qualcosa di assolutamente osceno, non condivisibile, una delle scelte più assurde ed impietose mai viste.
La Juventus non voleva, anche molti giocatori inglesi erano contrari ma la UEFA chiese di giocarla lo stesso. Si parlò di motivi di “ordine pubblico”. Solo per questo i dirigenti e capi (compresi quelli della polizia belga che si associarono) avrebbero dovuto finire a spaccare pietre per l'eternità.
Invece per anni rivendicarono il gesto come giusto. Molte televisioni decisero di non proseguire con la partita, come nel caso della rete ZDF tedesca, ma molte altre invece furono costrette a farlo.
Riuscirono perlomeno ad ottenere di farlo senza audio, erano del resto divisi tra la necessità di documentare ed il non voler essere complici di uno spettacolo osceno, ributtante, di disumanità totale. Pizzul decise di continuare il suo lavoro ma commentò il tutto garantendo che il suo tono sarebbe stato più distaccato e neutro possibile. Erano semplici spettatori pure loro di un dramma che si voleva portare fino in fondo.
Anche per questo ancora oggi è incredibile come i giocatori del Liverpool avessero potuto giocare con così grande impegno in quel momento, così come vedere Platini ed alcuni giocatori della Juventus esultare per il gol su rigore inesistente che gli assegnò la Coppa, per la vittoria. A tanti anni di distanza, all’interno delle testimonianze raccolte, emergono diverse versioni e diversi livelli di conoscenza tra i giocatori su ciò che si stava verificando.
Lo stesso Boniperti si dissociò da quei pochi che follemente pensarono fosse il caso di scendere per strada a festeggiare per quella Coppa Campioni, macchiata di sangue.
Il Sindaco di Torino prese provvedimenti con la forza pubblica, vietando ogni festeggiamento calcistico.
Certo, era un risultato che freddamente sulla carta era importante, era frutto di un progetto lungo e faticoso, e di certo la tensione, paura, stress, trovarono la valvola di sfogo anche in quel momento. Ma un briciolo di sensibilità da parte dei giocatori inglesi e di alcuni bianconeri sarebbe servita.
Anni dopo Boniek e Tardelli confessarono che non sapevano molto di certo sulla tragedia, ma che non volevano più giocarla, non pensavano di aver nulla di positivo da associare a quel match. Ed avevano ragione. A poco servì vedere Platini e alcuni dirigenti bianconeri andare nei reparti ospedalieri in cui stavano i tifosi feriti (più di 600) e cercare di recare loro conforto.
Poco servì anche vedere la monarchia belga cercare in qualche modo di arginare il danno morale e materiale causato. Poi arrivò il momento delle “recite” e delle conseguenze con cui UEFA e vertici sportivi cercavano di rifarsi una moralità.
Non avevano fatto nulla per impedire quanto successo, non avevano mai agito con decisione, lo fecero parzialmente quella sera, ottenendo la sospensione del Liverpool per tre anni (poi in realtà ridotti ad uno) dalle Coppe Europee.
Ma era una foglia di fico, il problema riguardava tutto il calcio inglese e non solo, era connesso alla scarsa cooperazione tra governi, vertici sportivi e la scarsa volontà di agire contro i tifosi più violenti. Gli stessi che per anni non vollero in alcun modo chiedere scusa o pentirsi di quanto accaduto, né assumersi le proprie responsabilità. La stessa UEFA, anche a seguito del terribile massacro del Hillsborough di quattro anni dopo, ostacolò sempre il perdurare della memoria e le manifestazioni atte a ricordare l’Heysel e simili tragedie. Tutto doveva passare in sordina, tutto doveva essere messo nel dimenticatoio onde evitare conseguenze per i vertici.
Il Governo belga, posto in grande imbarazzo per l'accaduto, creò diverse commissioni d’inchiesta, licenziamenti e punizioni tra gli altri gradi delle forze dell'ordine. Alla fine, cadde addirittura il governo.
Negli anni, a seguito di quella tragedia, molto è cambiato nel calcio: nacque dall'accordo tra 42 paesi la "Convenzione europea sulla violenza e i disordini degli spettatori durante le manifestazioni sportive, segnatamente nelle partite di calcio", e quindi aumentarono le misure di sicurezza, l'addestramento specifico per le forze dell'ordine specializzate, le telecamere e le sanzioni.
Ma il problema “Hooligans” è e rimane attuale, sovente con la comunione di intenti tra le tifoserie più estreme con il peggio dell’eversione politica, della criminalità organizzata. Qualcosa che paradossalmente gli inglesi sono riusciti a limitare, ma che in molti altri paesi (compreso il nostro) rimane uno dei maggiori difetti, delle più terribili problematiche ancora oggi insolute, ancora oggi contiamo morti e feriti tra tifosi, ultras, membri delle forze dell’ordine.
Perché come sempre, come al solito, noi italiani pare che arriviamo sempre con un fiero ritardo su certe cose, pare che amiamo rivivere le cose più orrende del passato.
Di certo quella strage, in quella serata belga, rimane una delle pagine più vergognose e umilianti della storia dello sport, della UEFA, dell’incapacità di proteggere lo sport più bello del mondo.