Jack Dempsey - Il Massacratore di Manassa
Come e perché, il pugile americano ha rappresentato un momento di svolta assoluta nella storia della boxe
“Un campione è qualcuno che si alza quando non può.”
Il giorno dopo un intero paese era in lutto. I giornali non parlavano di altro.
Certo era passato del tempo e i grandi venuti dopo avevano magari oscurato in parte ciò che egli aveva rappresentato per l’America, per chiunque amasse il ring o i guantoni.
Jack Dempsey era morto quel 1° maggio 1983. Era nato come William Harrison Dempsey, a Manassa, nel Colorado, 88 anni prima, in una famiglia poverissima di origini Ebree, Irlandesi e Cherokee, ed era stato un tempo il Re del Mondo, quando la boxe era lo sport per eccellenza, quando essere soprattutto il Campione, significava essere qualcosa di più di un semplice uomo.
Non era stato un uomo dal carattere facile, anzi, probabilmente non avesse scoperto il ring, sarebbe finito molto male, come del resto non era difficile accadesse a quel tempo, in quell’America che lui girò costantemente con la famiglia, a causa dei problemi del padre a trovare un lavoro.
Per aiutare a casa molti pulivano le scarpe, lavoravano nelle miniere, a volte anche rubavano. William invece faceva a botte, si offriva nei saloon e taverne o nelle piazze, per combattere contro chiunque se la sentisse.
A 16 anni, se ne andò del tutto da casa e continuò ad arrangiarsi come poteva, con combattimenti clandestini e facendo la guardia del corpo o “l’esattore” per questo o quel signorotto dell’America che da terra di frontiera, diventava una specie di civiltà in mano a signori del petrolio ed affaristi senza scrupoli, sovente protetti dal rango di politici.
Anche il fratello Bernie faceva la stessa “carriera” e quando come lui si cimentava nella boxe clandestina, usava lo pseudonimo di Jack Dempsey, in onore del grande peso medio Jack “Nonpareil” Dempsey, il primo campione mondiale della sua categoria di peso di sempre. Era un idolo per entrambi per il suo coraggio leggendario, la sua incredibile potenza e mito di invincibilità. Un bel giorno, Bernie fu selezionato per combattere contro il temutissimo George Copelin, un veterano che si era misurato con Jack Johnson, mandando al suo posto William. I promoter però se ne accorsero e minacciarono di sospendere il match e non pagare nessuno. Copelin dileggiò William, il nuovo “Jack Dempsey” che era notevolmente più piccolo e basso di lui, dicendo che avrebbe cercato di non fargli troppo male.
Pochi minuti dopo, Copelin veniva portato via esanime dal ring improvvisato, dopo essere stato atterrato 8 volte in due round. Il promoter adirato, non diede manco un centesimo ai due fratelli, ma non contava. Contava che ora era nato Jack Dempsey.
Da quel momento, Jack non smise più di combattere, si accorse infatti, che le persone lo trattavano in modo diverso, che poteva guadagnare e soprattutto, che misurarsi con veri avversari, in cornici migliori di quelle di uno squallido vicolo, era qualcosa a cui teneva.
Continuò a girare nello Utah e altrove, mettendo a segno altri sei combattimenti. Poi arrivò l’entrata in guerra. Jack, sorprendentemente, non fu accettato perché ritenuto “non idoneo”. Si fa ridere lo so, però questo comportò per anni accuse infamanti di non essersi arruolato per servire la patria, quando in realtà Jack non aveva alcuna colpa. Lavorò come marinaio e continuò a boxare.
Fu dopo la Grande Guerra che la sua leggenda cominciò a prendere piede. L’unico a batterlo in quegli anni fu il temuto e quotato Jim Flynn, ma tutti gli altri (compreso Gunboat Smith), furono spazzati via.
Alla fin fine, arrivò la persona giusta per guidarlo: il manager Jack Kearns.
Questi, guidò Demspey ad una serie di vittorie sensazionali contro il già citato Flynn, Levinsky, Morris e tanti altri pugili. Spesso, vinceva per Ko al 1° round.
Il 4 luglio 1919, Dempsey ebbe la sua chance, da grande sfavorito, contro un gigante che tutti temevano: Jess Willard, alto quasi 2 metri, incredibilmente più pesante e grosso di Jack.
Benny Leonard, il grande fuoriclasse, disse che non vedeva come il ragazzo di Manassa potesse vincere. La folla che circondava il ring di Toledo però, assistette ad uno dei peggiori pestaggi mai visti nella storia della boxe.
Willard fu letteralmente massacrato da Dempsey, atterrato ben sette volte nel primo round, da quel ciclone che si muoveva come mai nessun altro prima.
Questo perché Dempsey, portò nella boxe soprattutto due elementi tecnici destinati a fare storia, a cambiare per sempre la carriera di tanti venuti dopo di lui, che sarebbero parimenti entrati nella categoria degli swarmer infighters: il Drop Step e il Dempsey Roll.
Con il primo termine, si definì la tendenza di Dempsey ad utilizzare un particolare gioco di gambe, che mediante una flessione ed avanzamento della gamba frontale, permetteva di entrare ed uscire dalla guardia dell’avversario, così come di caricare di maggior potenza il colpo ma anche, unendosi ad una flessione del busto, di evitare i colpi più alti, colpendo l’avversario con tutto il suo peso ed imponendo la propria distanza.
Il Dempsey Roll invece, era connesso oltre che al suo grande bobbing and waving, anche al fatto che per Demspey non era importante mantenere l’assetto originario, sovente infatti durante il combattimento, alternava le due guardie. Nel fase ascendente dal boggin and waving, Dempsey scagliava i suoi colpi, imprimendo tutto il suo peso ed anche di più, visto che andando verso l’alto in quel modo, aggiungeva slancio. Inoltre, cambiando contemporaneamente il piede perno, ogni colpo arrivava come un diretto o gancio da mano dominante, con effetti terrificanti.
Willard fu travolto da un Dempsey Roll che ancora oggi è storia, colpito per ben sette volte di fila. A fine match aveva più fratture che ossa sane anche per l’abitudine di Dempsey, di caricare all’estremo con la spalla ogni colpo.
Se uniamo il tutto all’atleticità, killer instict, resistenza e velocità di Dempsey, è facile capire perché diventò il pugile che diventò, ma anche perché molti pensarono che truccasse fasce e guanti: la violenza che scatenava sul suo avversario, non aveva paragone.
Dopo la vittoria con Willard, Demspey diventò idolo dell’America, si scoprì divo dalla mattina alla sera, diventò anche attore per Hollywood, fino a quando sulla sua strada non trovò finalmente un avversario che tutti pensavano potesse batterlo: George Carpentier.
“L’uomo orchidea” era un grande divo internazionale, un eroe di guerra francese tanto feroce sul ring, quanto sofisticato ed elegante al di fuori. Come Dempsey anche lui credeva nell’aggressione costante e nella velocità, tuttavia proveniva da una categoria di peso inferiore.
Fu comunque il “match del secolo” per tutti quanti, il primo ad arrivare al milione di dollari, con 90mila spettatori, ma fu anche un soliloquio per Dempsey, che massacrò il francese senza appello.
Dempsey, idolatrato da donne, uomini, da politici, gangster, operai e artisti, difese la cintura contro Gibbons, prima di dare il via ad uno slugfest leggendario con il possente argentino Luis Angel Firpo.
A New York, di fronte a 100mila persone infervorate, per la prima volta da moltissimo tempo, Dempsey fu messo al tappeto. Successe dopo che egli stesso aveva atterrato il “toro della pampa”, un uomo che come lui non aveva paura ed era dotato di una forza immensa. Quei due round, ancora oggi sono leggenda anche per lo straordinario quadro, con cui George Bellows immortalò l’attimo in cui l’argentino scagliava fuori dal ring il Campione.
Dempsey però rientro nel ring, e nel secondo round chiuse la questione, obbligando alla resa il possente avversario. Dopo quel match, altro evento epocale per l’America di quel tempo, Dempsey diventò ancora di più un Dio, una star, nonché uno degli atleti più ricchi del mondo grazie a sponsor, esibizioni, film e le borse guadagnate.
Il suo carattere rimase di base gioviale ma infiammabile, e anche sul piano privato non si fece mancare nulla. Collezionava donne come vittorie, si sposò quattro volte: Maxine Gates, la diva Estelle Taylor, la star di Broadway Hannah Williams e infine, diversi anni dopo, Deanna Piattelli.
Per ben tre anni Dempsey mancò dal ring dopo il match con Firpo, si godette la vita, girò il mondo, arrivò anche a licenziare il suo storico manager. Si era, in parole povere, fatto sedurre dalla fama e dalla vita comoda, dal suo rango di star. Non si materializzò il match con la “Pantera Nera” Harry Willis, fatto che contribuì ad aumentare le voci inerenti il suo razzismo, cosa del resto non così infrequente all’epoca.
Si dette anche alla politica. Poi però, arrivò il momento di saldare il conto e il conto aveva un nome che ancora oggi è leggenda pari il suo: Gene Tunney, the Fighting Marine.
Tunney era il contrario di Dempsey. Se Dempsey era aggressione e furia, lui era difesa e calcolo, se Dempsey era fuoco lui era ghiaccio. Era come Jack un grande innovatore ma in modo diverso, curando gioco di gambe elusivo, una guardia bassa, senso dell’anticipo e soprattutto uno stile da incontrista e outfighter che avrebbe posto le basi per tanti altri fuoriclasse della sweet art.
Benché sfavorito, Tunney quel giorno di settembre del 1926, mostrò al mondo una performance incredibile, battendo in 10 round un Dempsey assolutamente perso e senza la capacità di aggirare il maggior allungo e mobilità del rivale. L’eco fu enorme in tutto il mondo.
La sua vita in quel periodo fu attraversata da grandi drammi. Divorziò dall’ennesima moglie, il fratello John commise uccise la moglie Edna e si tolse la vita, lasciando un bambino orfano e per di più, il corpo di Dempsey mostrò chiaramente segni di logoramento. Il match contro Sharkey lo evidenziò una volta di più. Lo sfidante dominò tutto il match fino alla fine, quando un gancio sinistro di Dempsey, lo sorprese, mentre si lamentava con l’arbitro per un presunto colpo basso. Non sarebbe stata l’ultima controversia.
La più grande arrivò nel rematch con Tunney, l’evento pugilistico più importante della storia fino a quel tempo, con ben 2 milioni di dollari dai biglietti e addirittura il gangster Al Capone che cercò di approfittarsi della situazione. I tifosi e gli esperti erano totalmente divisi sul pronostico.
Il match vide fino al settimo round un dominio ancor più marcato di Tunney, la cui boxe scientifica, difensiva e accorta, ebbe la meglio sull’aggressione di Dempsey, che però non accennava a mollare.
Al settimo round infatti, uno suo gancio sinistro atterrò Tunney, ma Demspey commise l’errore di non andare subito all’angolo neutro, dando così molti più secondi al rivale per riprendersi. Alla fine furono 14 i secondi e Tunney gli usò tutti per riprendersi tanto che nel round seguente, atterrò addirittura Dempsey.
Alla fine Tunney vinse agevolmente ai punti ma la leggenda del “Long Count” avrebbe inseguito quel match fino ad oggi. Tuttavia Dempsey si dimostrò sempre chiaro sul fatto che il rivale (e poi grande amico) avesse meritato di vincere. Fu il suo ultimo match.
Negli anni a venire, Dempsey si dedicò alla filantropia, al cinema, gestì anche un Casinò per conto del leggendario Al Capone, creò diversi ristoranti, hotel, e resse meglio di tanti altri la botta delle Grande Depressione.
Durante il secondo conflitto mondiale, Jack diventò addestratore per la Guardia Nazionale a New York, ma poi fu mandato come ufficiale di Marina a servire sul fronte del Pacifico, partecipando alle prime fasi della battaglia di Okinawa.
Successivamente, soprattutto per la sua scarsa stima verso Alì, il suo peso nel pubblico perse mano a mano di importanza ma nonostante questo, la sua figura rimane gigantesca nella storia della boxe.
Ciò che lui fece su quel ring, fu la base tecnica e tattica per tantissimi altri pugilidi aggressione, uomini come Rocky Marciano, Jake Lamotta, Rocky Graziano, Tony Zale, Mike Tyson, Roberto Duran, David Tua, Smokin Joe Frazier, Gennady Golovkin, Nigel Benn, Aaron Pryor, Julio Cesar Chavez, Manny Pacquiao e tantissimi altri.
Ad oggi, solo uomini come Joe Louis, Muhammad Alì o Mike Tyson sono stati più famosi ed iconici di lui tra i pesi massimi, e di fatto, il suo regno segnò un’epoca di profondissima rivoluzione nella storia e popolarità della boxe come evento globale.
Con lui, essere pugili significò anche essere divi, sex symbols e poter guadagnare molto soprattutto fuori dal ring.