Jim Braddock - la leggenda di Cinderella Man
Il 7 giugno 1905, nasceva il grande pugile americano, diventato simbolo di riscatto per l'America piegata dalla Grande Depressione
“L’uomo più coraggioso con cui sia mai stato su un ring”
Joe Louis
Si potrebbe parlare per ore dei suoi match, del perché furono così importanti. Potremmo stare qui a riguardarci assieme Cinderella Man di Ron Howard, lo sguardo malinconico e determinato del grande Russell Crowe, e discutere di quanto è cambiata la boxe, quanto oggi sia divistica e sempre meno popolare, sempre meno capace di regalarci personaggi così importanti, ma schiava di eventi stupidi, volgari, numeri da circo da celebrità effimere ed ex glorie decadute.
Lui invece su quel ring, dette speranza, dimostrò a tutti che non era mai veramente finita se lo si voleva.
James Walter Braddock era uno del popolo, era nato ad Hell's Kitchen, un quartiere che ieri come oggi era pieno zeppo di irlandesi, di scozzesi, di tedeschi, era nato in una famiglia di morti di fame, che quando aveva 8 anni si era spostata decisa nel New Jersey, in cerca di una vita più tranquilla.
Erano nove in famiglia, aveva sette tra fratelli e sorelle, e tra tutti loro, lui era quello più animoso, quello che si azzuffava per strada, ma anche quello che dimostrava più possibilità di sfondare nello sport. Il sogno era giocare a football, ma aveva più fegato che cervello come lui stesso ammise, alla Notre Dame Football non riuscì a sfondare. Allora decise (come moltissimi altri irlandesi dell'epoca) che era la boxe il suo futuro da sportivo.
Aveva 19 anni, un'età abbastanza avanzata all'epoca per cominciare a boxare, ma Jim dimostrò talento, abnegazione e grande determinazione, diventando in breve tempo un incontrista molto difficile, un pugile intelligente, scomodo, dal pugno velenoso.
Da Dilettante vinse il Campionato del New Jersey, poi a 21 passò al professionismo, dove tra i mediomassimi si fece subito notare, mettendo in fila 34 vittorie su 40 match, di cui 21 prima del limite.
Il 30 novembre 1928, al Madison Square Garden, contro ogni pronostico, batté con un perentorio Ko il quotatissimo Tuffy Griffiths. Fu il match che lo fece conoscere ai managers che contavano, lo fece finire sotto l'ala di Joe Gould, che diventò una figura fondamentale nella sua vita e nella sua carriera.
Batté anche il forte Jim Slattery, ed ebbe la chance per il titolo dei mediomassimi di New York contro l'abile Tommy Laughran con cui però perse ai punti. Fu anche il match dove si infortunò per la prima volta alla mano destra, vero e proprio tormento che lo avrebbe condizionato per il resto della carriera.
La sconfitta e l'infortunio lo resero più debole, depresso, perse moltissimi dei match che combatté nei successivi due anni, compresi quelli contro Maxie Rosenbloom (un grandissimo della boxe e dello show business) ed Earnie Schaaf.
Il Madison Square Garden era l'arena, un'arena che sovente gli tributava fischi e critiche, dicevano che non aveva fegato, che non voleva lottare, che in quei tempi, ben altri uomini avevano il diritto di stare su quel ring.
Nel 1929 infatti era scattata la Grande Depressione, ancora oggi la crisi economica più terribile che si ricordi, la resa dei conti per un sistema finanziario (quello americano) in cui speculazione e bugie avevano alimentato una macchina terribile.
Le conseguenze di quell'evento sono visibili ancora oggi, portarono il paese ad un livello di disperazione e povertà assolutamente orrendi, che segnò un'intera generazione. Vagabondaggi, alcolismo, malnutrizione, i padroni che facevano la voce grossa, immense masse di contadini e braccianti che girovagano in cerca di qualcosa da dare alle loro famiglie disperate.
Anche quella di Jim era disperata. Le borse erano sempre più misere per lui, fu costretto a lasciare la boxe, a combattere solo in pochissimi match e con esisto scontato, mentre faceva quello che poteva al porto, lavorando con la mano sinistra per proteggere la destra, ancora convalescente.
Non lo sapeva, ma il lavoro pesante al molo sarebbe stato la sua salvezza da pugile, quel sinistro, quel braccio sinistro, in breve sarebbe diventato tanto forte da pareggiare quasi i conti con il suo destro.
La situazione però nel paese si fece sempre più drammatica, per dare da mangiare ai figli, fu costretto a chiedere il sussidio di povertà, ad accettare l'elemosina, poi però nel 1933, con l'elezione di Franklin Delano Roosvelt, e l'apertura del suo “New Deal”, le cose cominciarono a cambiare.
Ricominciò a girare denaro, i famosi “cento giorni” del "Emergency Banking Act" furono il primo segnale di ripresa e come conseguenza, anche la boxe cominciò ad offrire maggiori opportunità. Gould gli procurò un incontro pagato decentemente ed il 14 giugno 1934, contro ogni pronostico, mise Ko il promettente prospect Corn Griffin, tra lo stupore di un Garden che lo vide usare il gancio ed uppercut sinistri in modo devastante.
Di lì a 5 mesi, fu messo di fronte ad un grande pugile come John Henry Lewis, uno dei più grandi mediomassimi di sempre, un funambolo del ring dal sorriso accecante e tecnica cristallina, che però non riuscì a fermare l'azione di Braddock, che usò molto bene la maggior stazza e peso, vanificando l'allungo di Lewis.
La rivincita sull'afroamericano (che l'aveva battuto due anni prima), lo portò di fronte ad uno dei massimi più importanti: Art Lasky.
Ma il coach di Braddock, il grande Ray Arcel, decise di puntare tutto su una strategia aggressiva, contando sull'eccessiva sicurezza di Lasky, pugile potente ma poco tecnico, che infatti fu centrato con costante precisione da Braddock con diretti destri e ganci sinistri.
Lasky pagò su quel ring la sua scarsa difesa, che già l'aveva portato a prendere sonore lezioni da Carnera e diversi altri avversari. Ma fu anche il match grazie al quale Braddock si guadagnò la chance mondiale, a furor di popolo. Perché la sua storia, la sua riscossa, da uomo morto di fame e di speranza, sottovalutato e che non poteva assolutamente farcela contro avversari ben più nutriti e giovani, diventò il simbolo di un paese che cominciava con difficoltà ed in mezzo a rivolte, scioperi e scontri non dissimili da quelli di oggi, a vedere la luce in fondo al tunnel.
Ma ora, ora l'ostacolo era un pugile diverso dagli altri, era un colosso di origine ebraica che tutto il mondo esaltava e temeva: Max Baer.
Maximilian Adelbert Baer era una sorta di divo ed intrattenitore del ring, un personaggio ben diverso dallo stronzo sadico che Howard dipinse nel film, era un uomo ironico, gentile, rispettoso, guascone e donnaiolo.
Ed era anche uno dei pugili più atroci che si fossero mai visti. Sostanzialmente un Deontay Wilder arrivato quasi cent'anni prima. Come The Bronze Bomber infatti, anche lui non aveva una gran tecnica, però era armato di due mani che avevano la dinamite dentro e di un allungo assurdo per un uomo di 191 cm: 206 cm. In pratica 15 più di Braddock.
Fino ad un certo punto la sua carriera era sembrata poco incisiva, aveva perso con Uzcudun, con Schaaf, Loughran, poi però aveva cambiato coach e aveva cominciato ad abbattere gente come alberi. Santa Camarao, Kin gLevinsky, Tom Heeney erano caduti sotto i suoi colpi, alcuni non si erano rialzati o ne avevano pagato le conseguenze in modo terribile.
Frankie Campbell nel 1930 era morto con lui sul ring, Baer era andato in depressione, aveva avuto incubi, c’era voluta la madre di Frankie per tirarlo su. Poi Schaaf era tornato sulla sua strada, aveva preso mazzate per dieci round, pochi mesi dopo al primo jab di Primo Carnera era andato a terra senza vita... in realtà Schaaf soffriva di meningite e aveva ormai da tempo problemi alla scatola cranica, ma Baer pensò che anche quella fosse colpa sua.
Esternamente sembrava lo stesso, e sicuramente il suo stile grezzo e pugnace lo aiutò a diventare un divo, quando poi sconfisse il “pugile di Hitler” Max Schmelling per Ko, diventò un idolo per buona parte del paese, soprattutto per la comunità ebraica.
Baer in quel 1934 coronò la sua straordinaria carriera battendo Primo Carnera, in un match caotico, bruttissimo, confuso, dove l'italiano oltre a rompersi una caviglia nei primi round, fu sommerso di insulti e perseguitato da un arbitro irlandese a dir poco di parte.
Dopo il pugile di Hilter per il pubblico però Max aveva battuto anche il pugile di Mussolini. Baer da Campione del Mondo ora cercava sfide alla sua altezza.
E Braddock a lui e al suo angolo non sembrava esserlo. Speravano in Griffin o Lasky ma infine dovettero accettare di andare contro il Bulldog del New Jersey. Braddock era quotato dieci a uno, in pratica non poteva vincere. Anche per questo Baer più di tanto non si dedicò agli allenamenti, ma a divertirsi, alla sua carriera di attore e idolo delle folle.
Invece adottando una tattica perfetta, da incontrista, e legando con il poco tecnico e malleabile Baer, si aggiudicò gran parte delle riprese, resistette ai colpi del potente rivale. In un’arena infiammata, con tutto il paese che si raggomitolava attorno ad ogni radio, Jim Braddock ascoltò alla fine di 15 riprese terribili, il verdetto che lo dichiarava il nuovo Campione del Mondo. Baer pagò la sua leggerezza, Braddock invece incassò quanto dovuto per il suo coraggio e la sua dedizione, e fu una delle notti più memorabili per il popolo americano, che ora aveva la sua Cenerentola, il suo Cinderella Man.
Quel 13 giugno 1934, Jim non solo diventò Campione del Mondo, ma soprattutto tolse dalla strada la sua famiglia, sconfisse la fame, e scrisse il suo nome nella storia di questo sport. La sua storia, ridiede definitivamente coraggio a quanti, in un’America ancora maciullata da povertà e diseguaglianze, penavano che alla notte non vi potesse mai essere fine.
Una sua difesa contro Max Schmelling fu cancellata per paura che perdesse contro il pugile della croce uncinata, e così due anni più tardi fu mandato contro il rampante Joe Louis, l'uomo nuovo della boxe.
Il match vide stavolta chiaramente sfavorito il Campione del popolo, che doveva vedersela con un atleta ventenne, nel pieno delle forze, ma anche incredibilmente potente, atletico, talentuoso e soprattutto incredibilmente concreto.
Al contrario di tanti altri avversari affrontati in precedenza infatti, Joe Louis era un pugile dalla tecnica sensazionale, abbinata ad un killer instict unico.
Eppure, Jim nel primo round atterrò Louis, quasi fece il miracolo, ma ripresosi, il giovane e possente sfidante fece valere la sua forza, gioventù e incredibile caratura di combattente, piegando “l’Uomo Cenerentola” all'ottavo round con un destro che gli maciullò i denti e lo lasciò a terra per diversi minuti.
Fu il suo ultimo match. Negli anni a venire, Jim si sarebbe occupato di edilizia, avrebbe risposto alla chiamata nel 1942, diventando tenente e servendo a Saipan nel Pacifico, addestrando gli uomini al corpo a corpo.
Dopo la guerra la sua fama non venne meno, fino al giorno della sua morte nel 1974 fu salutato come uno dei migliori esempi di riscatto e virtù che la boxe potesse offrire, e anche per questo il suo nome è stato indotto nella Hall of Fame.
Oggi, che sarebbero stati 116 anni per Jim Braddock, l’Uomo Cenerentola, e non si può che concordare che sicuramente agli Stati Uniti e non solo, servirebbe un pugile di questa caratura, capace di fornire un esempio di riscatto e dedizione ad un paese che ancora è preda di violenti tempeste di natura economica, sociale e culturale.
Perché in fondo, come sempre, è da storie piccole, quasi insignificanti, che sovente arriva la risposta, l'esempio migliore.